Il processo della pirolisi nelle biomasse

A proposito di energia pulita, di cui nel mondo c’è un crescente bisogno, si affermano sempre di più le cosiddette biomasse: in Sicilia, per dire, si possono ottenere facilmente, poiché provengono da materiali d’origine vegetale, di cui l’isola, soprattutto nelle aziende agricole, dispone in abbondanza, opportunamente lavorati e trasformati in energia con l’aiuto di diversi processi, tutti non dannosi per l’ambiente, da scegliere a seconda dei casi.

Fra le tante conversioni alle quali si può attingere, ci soffermiamo qui di seguito sulla pirolisi, che rientra nel novero delle cosiddette conversioni termochimiche.

Essa si basa molto semplicemente su una modificazione delle materie organiche a sua volta imperniata sull’erogazione di calore, ma quasi in assenza di ossigeno, da aggiungere eventualmente, in determinate circostanze e in proporzioni studiate, nella fase finale del processo, allo scopo di innescare una combustione che aumenti ulteriormente la temperatura, la quale comunque per la riuscita dell’operazione deve essere portata tra i 200° e 700°.

Ciò implicitamente significa che, all’occorrenza, questo metodo, che non per niente viene chiamato pure distillazione a secco, potrebbe essere facilmente applicato a tutte le materie organiche; è sufficiente che l’acqua in esse contenuta sia inferiore al 15% della massa. È anzi opportuno fare preliminarmente questo genere di verifica. S’intende abbastanza chiaramente che non si tratta di una modalità che comporta dispersione di gas nell’aria, né particolari sprechi.

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