TRASFERIMENTO LEGGE 104/1992: Legittimo il rifiuto del dipendente al trasferimento se gode delle tutele previste dalla legge

TRASFERIMENTO LEGGE 104/1992: Legittimo il rifiuto del dipendente al trasferimento se gode delle tutele previste dalla legge 

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La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 24015 del 12 ottobre 2017, si è espressa sulla questione della possibilità o meno di trasferire il lavoratore dipendente che usufruisca dei permessi ex legge 104/1992 per assistere un familiare disabile.
Il caso, nella specie, ha riguardato il ricorso di un lavoratore (dipendente presso un carcere, addetto alla mensa) il quale si era visto licenziare a seguito di un suo rifiuto ad essere trasferito in altra sede aziendale, seppur questa nuova unità era distante pochi chilometri dalla precedente e, comunque, entro lo stesso Comune.
Sia il Tribunale che la Corte d’Appello avevano rigettato il ricorso del lavoratore contro il licenziamento. Per entrambi i giudici del merito, infatti, sebbene il lavoratore fosse in possesso dei requisiti di cui alla Legge n. 104/1992, il trasferimento doveva ritenersi legittimo.
La pronuncia della Cassazione che accoglie il ricorso del lavoratore, assume rilievo in quanto afferma un importante principio di diritto: il lavoratore che fruisce dei permessi ex legge 104 non può essere trasferito, perché verrebbe violato il più rigoroso regime di protezione di cui egli gode per il fatto che assiste un familiare in situazione di handicap.
Viene chiarito, pertanto, che, nel valutare il trasferimento del dipendente che fruisce dei permessi mensili per l’assistenza di familiari disabili, non può operare il riferimento posto dall’articolo 2103 del codice civile al concetto di unità produttiva (“Il lavoratore non può essere trasferito da un’unità produttiva ad un’altra se non per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive”.).
Il riconoscimento al lavoratore dello speciale regime di protezione ha come obiettivo la tutela del diritto del congiunto a mantenere invariate condizioni di assistenza nel rispetto di quanto previsto dalla Costituzione oltre che dalla Carta di Nizza (che salvaguarda il diritto dei disabili di beneficiare di misure rivolte al loro inserimento sociale) e dalla Convenzione delle Nazioni Unite del 13 dicembre 2006 in materia di protezione dei disabili.
Ed infatti, alla luce delle richiamate fonti, sostengono gli Ermellini: “L’efficacia della tutela della persona con disabilità si realizza, per quanto rileva nella fattispecie in esame, anche mediante la regolamentazione del contratto di lavoro in cui è parte il familiare della persona tutelata, in quanto il riconoscimento di diritti in capo al lavoratore è in funzione del diritto del congiunto con disabilità alle immutate condizioni di assistenza.”.
In buona sostanza, per la Cassazione il lavoratore che usufruisce dei permessi della richiamata legge, ha il diritto di scegliere la propria sede di lavoro, che solitamente sarà la più vicina al domicilio del disabile da lui assistito. Inoltre, egli non potrà essere trasferito in un’altra sede dell’azienda senza che abbia dato il proprio consenso.
E lo stesso principio – in deroga al citato art. 2103 c.c. – vale anche se il trasferimento non comporta lo spostamento ad una nuova unità produttiva o si realizza nell’ambito dello stesso Comune.
Orbene, in questo contesto, volto a chiarire i vincoli legati al trasferimento del lavoratore che usufruisce dei permessi previsti dalla Legge 104/92, l’unico limite che la Suprema Corte individua è quello che si verifica quando il datore di lavoro dimostri l’esistenza di specifiche esigenze tecnico-produttive od organizzative, le quali impediscono una soluzione diversa dal mutamento geografico del posto di lavoro. Per cui il datore di lavoro dovrà dimostrare che tali ragioni possono essere soddisfatte solo con il trasferimento del lavoratore in questione. Il trasferimento infine potrà avvenire in caso comprovato di incompatibilità ambientale del dipendente o per la definitiva soppressione del posto di lavoro.
Per la Cassazione, diviene fondamentale valorizzare al massimo le esigenze di assistenza e di cura del familiare disabile del lavoratore nel momento in cui si effettua il necessario bilanciamento di interessi e di diritti del lavoratore e del datore di lavoro “occorrendo salvaguardare condizioni di vita accettabili per il contesto familiare in cui la persona con disabilità si trova inserita ed evitando riflessi pregiudizievoli dal trasferimento del congiunto ogni volta che le esigenze tecniche, organizzative e produttive non risultino effettive e comunque insuscettibili di essere diversamente soddisfatte”.
La Corte d’appello dovrà quindi tornare a pronunciarsi sulla vicenda, tenendo conto dei principi di diritto enunciati dalla Cassazione con la sentenza in commento, che possono così sintetizzarsi: “Il trasferimento del lavoratore legittima il rifiuto del dipendente che ha diritto alla tutela di cui all’art. 33 c. 5 della L. n. 104 del 1992 di assumere servizio nella sede diversa cui sia stato destinato ove il trasferimento sia idoneo a pregiudicare gli interessi di assistenza familiare del dipendente e ove il datore di lavoro non provi che il trasferimento è stato disposto per effettive ragioni tecniche, organizzative e produttive insuscettibili di essere diversamente soddisfatte” .
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