Psicoterapeuta Novara, Dott.ssa Silvia Parisi: Approccio EMDR con pazienti omosessuali.

La psicoterapeuta Novara, Dottoressa Silvia Parisi, ci parla dell’approccio EMDR in psicoterapia con pazienti omosessuali.

A differenza di quello che avviene in un’attività prettamente psichiatrica, gli psicoterapeuti utilizzando l’ EMDR su pazienti omosessuali, si rifanno a condizioni anche esistenziali che possono comunque essere fonte di sofferenza e pertanto oggetto di riflessione congiunta all’interno della relazione terapeutica.
L’omosessualità, non dovrebbe mai rappresentare il focus dell’intervento se questo non rientra apertamente tra gli obiettivi del paziente. Se un paziente omosessuale chiede un aiuto per un sintomo che non sembra avere a che fare direttamente con il proprio orientamento sessuale, va ricercato l’obiettivo concordato che riguarda quello specifico problema, fatta salva la esplorazione dei rapporti che possono legare quel determinato fenomeno sintomatico agli altri aspetti della vita del paziente stesso. L’obiettivo di migliorare le proprie relazioni sentimentali senza che questo comporti affatto la messa in discussione della propria omosessualità,, per esempio riuscire ad avere relazioni più stabili, a porre un maggior freno alla propria eventuale tendenza alla promiscuità, regolare i propri impulsi e le proprie tendenze nei confronti di rapporti sessuali anonimi e caratterizzati da particolari impulsività. Nel caso di ricordare come ovviamente le problematiche appena menzionate non siano affatto appannaggio esclusivo dell’omosessualità ma possono stesso modo essere portate all’attenzione clinica da parte di pazienti eterosessuali, soprattutto se appartenente la cosiddetta area della disorganizzazione borderline. Va poi ricordato come persone omosessuali chiedono volte aiuto per affrontare un ambiente ostile e traumatizzante, che magari non si limita a esprimere il proprio disaccordo o le proprie perplessità e difficoltà rispetto a una scelta di vita omosessuale, ma che arriva a esprimere un rifiuto globale del paziente come persona, a non permettergli la minima autonomia di scelta. In questi casi, il lavoro dovrà necessariamente indirizzarsi verso la elaborazione di situazioni difficili vissute all’interno dell’ambiente familiare, verso l’emozione di vergogna prepotentemente attive, poi sulla capacità di ricercare transazioni più funzionali all’interno del proprio mondo interpersonale, sulla possibilità di tollerare meglio le critiche e rifiuto da parte di persone affettivamente significative, in fine di ricercare e di mantenere una visione positiva di se stessi anche in presenza di un contesto sociale difficile o apertamente ostile.

Articolo scritto da: Dottoressa Silvia Parisi, psicoterapeuta a Novara