Alimentazione e stile di vita per prevenire le malattie

Alimentazione e stile di vita per prevenire le malattie

Tra diete e miti da sfatare: “Siamo quello che mangiamo. L’intestino è come un cervello”


Silvio Nanni, 33 anni, farmacista e biologo nutrizionista. Una scelta, la sua, in direzione di una passione che lo accompagna da sempre: mangiare bene. Perché, spiega in questa intervista che anticipa una rubrica dedicata di volta in volta a temi del settore, “Tutto quello che mangiamo lo trasformiamo in noi stessi”. Dalle intolleranze alle diete dimagranti e al rischio di interazione con i farmaci: il dottor Silvio Nanni anticipa anche i miti da sfatare sulla dieta mediterranea, “a larghissima prevalenza vegetale, con un po’ di pesce e pochissima carne e solo bianca…”.

“Dimmi quello che mangi e ti dirò chi sei”. Un aforisma, una massima, che Silvio Nanni riuscirebbe a decifrare caso per caso, persona per persona. O meglio: paziente per paziente. Malgrado abbia solo 33 anni, ha già una doppia laurea. La prima in Farmacia, alla Sapienza di Roma. La seconda in Scienze della Nutrizione Umana, conseguita all’università Tor Vergata. Dopo diversi anni divisi fra lo studio, con risultati sorprendenti, la passione per la recitazione, che lo ha portato a calcare palcoscenici famosi e affiancare attori quotati, e il lavoro dietro al bancone della farmacia di famiglia, la strada che ha imboccato è quella della alimentazione. Mangiare bene e in modo da soddisfare non solo il piacere dei sensi ma anche le esigenze della salute, con un occhio ai centimetri: insomma, è biologo nutrizionista.

Leggo sul suo curriculum che lavora in ben tre studi: uno a Roma, uno a Frascati e uno a Termoli.
«Mi divido tra il Molise e la città in cui ho studiato e dove ho scelto in parte di restare per esigenze professionali. Trascorro un po’ di tempo in Basso Molise e un po’ di tempo nel Lazio. E va bene così, per ora».

In sostanza lei studia ed elabora diete dimagranti per le persone?
«Non solo. Mi occupo dell’alimentazione in senso generale. Dalla classica dieta dimagrante alla dieta per stati patologici particolari fino alla dieta per sportivi. Mi interessa in modo particolare l’interazione tra alimenti e farmaci».

Ci sono alimenti che possono condizionare l’efficacia di determinati farmaci?
«Certo, ci sono alimenti come per esempio il succo di pompelmo, il più noto da questo punto di vista, che vanno ad agire su degli enzimi coinvolti nella metabolizzazione del farmaco e possono aumentarne gli effetti collaterali, a cominciare dagli antiaritmici, farmaci per l’ipertensione arteriosa, antibiotici e fluidificanti del sangue. La lista degli alimenti che possono interagire con i farmaci è lunga e possono sia aumentarne che diminuirne l’efficacia. Il rischio, quando non si considera adeguatamente questo aspetto, quindi l’interazione, è di vanificare la terapia o di aumentare gli effetti collaterali».

Lei è esperto di diete per particolari stati patologici. Mi potrebbe fare un esempio?
«Per esempio sono specializzato, perché è stato anche oggetto della mia tesi di laurea e me ne sono occupato a lungo e continuo a farlo sistematicamente con gli aggiornamenti, di dieta per donne che hanno avuto il tumore al seno. Ho fatto uno studio personale sulla diminuzione della recidiva del cancro al seno con la dieta e lo stile di vita. Sappiamo che una donna che ha avuto questo tipo di tumore ha una aumentata probabilità di subire una recidiva nell’arco di 10 anni. Un rischio che si abbassa notevolmente con una alimentazione e uno stile di vita adeguati».

Dottor Nanni, cosa è uno stile di vita? Lei come lo definirebbe?
«Il complesso di abitudini che mettiamo in pratica tutti i giorni. Da quello che mangiamo a come e quanto riposiamo la notte, dallo sport che pratichiamo o dalla vita sedentaria che facciamo fino al lavoro, se è più o meno stressante. Nello stile di vita si fa rientrare anche la dieta, ma dal mio punto di vista l’uno senza l’altra ha poca efficacia».

Eppure spesso sentiamo parlare di diete che promettono miracoli in assenza totale di attività fisica. O di persone che dimagriscono senza necessariamente praticare sport o fare una vita, come dice lei, segnata da uno stile migliore…
«Prima di tutto una premessa: il dimagrimento senza attività fisica è in alcuni casi rischioso. Con determinate diete si può perdere peso, è vero, ma si perdono soprattutto liquidi e massa muscolare, praticamente la stessa dieta che fa il paziente allettato in ospedale e che, come è intuibile, non è una dieta sana. Ne parleremo prossimamente nei vari approfondimenti che Primonumero mi ha invitato a fare a beneficio dei lettori molisani. Intanto qualche indicazione di massima. La dieta deve essere accompagnata da una moderata attività fisica, che può consistere anche in 30 minuti al giorno di passo svelto, non necessariamente sport a livello professionale. Una dieta dimagrante vera va a togliere massa grassa, non certo tessuto muscolare che è la parte del nostro corpo che consuma energia. Posso usare una metafora forse un po’ azzardata?»

Prego
«Quando andiamo in macelleria ci rendiamo conto che, a parità di volume, una bella fetta di carne pesa di più di un mucchietto di trippa. Bene, con le diete è la stessa cosa. La bilancia non basta per vedere se si è dimagriti e anzi, è l’ultima cosa. Si può perdere e si perde massa grassa anche aumentando leggermente di peso, perché si va a tonificare il muscolo. Si pensi ad un uomo obeso alto 1.70 m che pesa 100 kg e ad un bodybuilder alto sempre 1.70 m e che pesa sempre 100 kg. Vediamo ad occhio nudo la differenza, ciò che conta è la composizione corporea, da una parte abbiamo molto tessuto adiposo e dall’altra molta massa muscolare anche se il peso è lo stesso: la bilancia può ingannare».

Lei che tipo di pazienti tratta?
«Un po’ tutti i tipi, sia donne che vogliono dimagrire dopo una gravidanza o che vogliono dimagrire per togliere svariati chili che uomini che magari dopo i 30 o 35 anni hanno smesso di fare sport ma non hanno smesso di mangiare come quando facevano sport. Tratto poi molto gli sportivi in varie discipline, soprattutto ciclisti e calciatori».

Esiste una alimentazione diversificata da individuo a individuo, una dieta ideale per ognuno di noi?
«Arriveremo certamente a una alimentazione completamente personalizzata e personalizzabile, a un tipo di nutrizione che tenga conto del genoma. In realtà adesso questo non è ancora possibile, malgrado si vedano in circolazione test per una alimentazione personalizzata su base genetica. Beh, la verità è che non sono sinceri…».

Praticamente i test per le intolleranze sono delle truffe?
«No, non sto dicendo questo, dico che la maggior parte dei test genetici in circolazione non ha una base scientifica solida. Ma facciamoci caso: quando uno fa un test di intolleranza risulta intollerante a tutto, e questo ovviamente non è possibile. Il fatto è che tutti gli alimenti quando arrivano nell’intestino lo infiammano, ma si tratta di una infiammazione controllata e di conseguenza inevitabile. D’altra parte l’intolleranza non dovrebbe fare ingrassare: se una persona è realmente intollerante dimagrisce, come avviene nella celiachia per malassorbimento. La perdita di peso avviene perchè i soggetti, convinti di essere intolleranti, eliminano interi gruppi di alimenti come i latticini (con molti grassi saturi) o i farinacei che apportano molte calorie a porzione. Le intolleranze sono diventate un alibi per non cambiare i propri comportamenti sbagliati».

Ci sono tuttavia dei test di intolleranza che funzionano?
«Ci sono, penso a quello del lattosio. O al test genetico per la celiachia, la cui positività è, tra l’altro, una condizione necessaria ma non sufficiente per diagnosticare la malattia. Ripeto, ci sono pochissimi test genetici scientificamente validi per le intolleranze alimentari. E comunque con ogni probabilità la colpa dei chili di troppo non è da imputare a una intolleranza».

Intolleranze che oggi sembrano aumentate a dismisura. Nella popolazione ci sono sempre più casi di persone che non possono mangiare la pizza, che stanno male ogni volta che mettono in bocca un pezzo di pane…
«La malattia celiaca è sicuramente in aumento, ma è aumentato soprattutto il numero di diagnosi perché ci si sta molto più attenti e c’è un maggiore controllo e una maggiore consapevolezza.

D’altra parte l’industria alimentare ha cambiato le farine, aumentando la quantità di glutine nelle stesse perché questo le rende più lavorabili. Tuttavia non esiste una correlazione scientificamente dimostrata tra l’aumento del quantitativo di glutine nelle farine e l’aumento di casi di celiachia. Nel caso del lattosio è un po’ diverso…»

Cioè?
«Noi abbiamo un enzima, la lattasi, che va a scindere il lattosio e ci permette di assorbirlo. Quando questo enzima non c’è, perché magari non lo produciamo più, il lattosio resta nell’intestino e causa gonfiore, dissenteria e malessere. La lattasi è un enzima che dipende geneticamente ed è inducibile. In commercio esistono tantissimi integratori a base di lattasi che si prendono quando si vuole mangiare una mozzarella o un latticino, e funzionano bene. L’importante è prendere un tot di compresse in base al quantitativo di latte che si va ad assumere».

Parleremo in maniera più approfondita anche di questo. Intanto le chiedo: cosa pensa degli integratori?
«Partendo dal presupposto che in un’alimentazione sana e corretta e in assenza di stati patologici non c’è bisogno di integratori, dico che avendo lavorato diverso tempo in farmacia e parafarmacia sono diventato esperto di fitoterapia, integrazione alimentare e integrazione alimentare per sportivi e per celiaci. In determinati casi gli integratori sono utili, ma diffido dal prenderli in maniera arbitraria e in assenza di un consiglio di un medico o di un nutrizionista».

Esiste una formula per l’alimentazione ideale?
«Una dieta sana ed equilibrata resta sempre la dieta mediterranea, sulla quale però ci sono da sfatare parecchi miti. Possiamo accennare a questo, che è una dieta a larghissima prevalenza vegetale, con un po’ di pesce e pochissima carne e solo bianca. Insomma, ventricina bandita!».

Salumi banditi, formaggi banditi, grassi banditi, tutto quello che di più buono c’è sembra che faccia male… Però così il cibo perde la sua caratteristica di piacere, no?
«Il cibo è un meraviglioso piacere, ma deve rimanere tale e non deve diventare un killer silenzioso. Bene preferire la qualità rispetto alla quantità, e c’è sempre da dire che se una volta a settimana si fa uno sgarro non è un problema. Il problema è quello che facciamo tutti i giorni».

Perché secondo lei oggi è così importante l’alimentazione?
«Perché noi riversiamo nel cibo quello che non sempre riusciamo ad avere a livello di gratificazione. Il cibo è un piacere semplice come il sesso, ma non lo devi chiedere a nessuno: il frigorifero in genere dice sempre sì. Vorrei però riflettere su un dato che è questo: fino a un bel po’ di anni fa una famiglia spendeva la metà del proprio stipendio in cibo. Ora spendiamo un decimo dello stipendio, forse anche meno, perché sono cambiati i consumi e i costumi, certo. Ma c’è anche un discorso di qualità, che ci può portare a scegliere cibo spazzatura pur di avere, faccio un esempio, l’iPhone. E questo non è certo un bene».

Questo è anche il motivo per cui i molisani sono il popolo più obeso d’Italia, in percentuale?
«Non credo che in questo caso dipenda solo da una questione di alimenti, quanto da una questione psicologica. Azzardo: il Molise è un posto culturalmente un po’ depresso e il cibo è un riempitivo, potrebbe essere un’ipotesi».

Prima di iniziare la sua rubrica con consigli e approfondimenti su diversi temi legati all’alimentazione, ci darebbe una dritta su come mangiare meglio?
«Intanto impariamo a leggere le etichette e i valori nutrizionali di quello che acquistiamo e che portiamo a tavola, informiamoci sempre, ricordiamoci che quando mangiamo trasformiamo il cibo in noi stessi e che l’intestino è il nostro secondo cervello». (mv)

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