Inclusi ed Esclusi: le nuove povertà in provincia di Bergamo

Nel giorno del 50°anniversario dell’IPAB Istituti Educativi, FIEB presenta il rapporto finale dell’indagine realizzata dal Dipartimento di Sociologia e ricerca sociale dell’Università Bicocca

 

La Fondazione Istituti Educativi di Bergamo ha presentato oggi, martedì 16 febbraio, nel giorno del 50° anniversario dell’IPAB Istituti Educativi (divenuto FIEB nel 2003), il rapporto commissionato al Dipartimento di Sociologia e Ricerca sociale dell’Università degli Studi di Milano Bicocca, “Nuove forme di povertà e marginalità sociale in provincia di Bergamo”.

 

Uno sguardo attento e approfondito sulle nuove forme di povertà e marginalità sociale nella bergamasca, in un’indagine realizzata nel corso del 2020 che analizza i dati della provincia e dei diversi ambiti territoriali, sino al dettaglio del singolo comune. Il rapporto finale – presentato oggi nella sua interezza – si articola in una sezione teorica e in due sezioni di analisi: la prima di tipo quantitativo (condotta attraverso lo studio di dati e indicatori), la seconda qualitativa, realizzata mediante l’analisi di documenti programmatici e interviste ad un campione di operatori di sevizi. Obiettivo, raccogliere dati e testimonianze riguardanti le nuove forme assunte dalla povertà e dalla vulnerabilità sociale e materiale in provincia di Bergamo e le dimensioni latenti delle stesse, così da costruire basi solide – anche grazie all’esperienza maturata da FIEB nel mondo del sociale – per creare collaborazioni salde e stabili tra le associazioni del terzo settore, come già accaduto in numerose iniziative promosse dalla Fondazione stessa.

 

“Si tratta di temi molto sentiti e purtroppo attuali, che la pandemia da Covid-19 ha inasprito. Siamo di fronte ad una gravissima emergenza sanitaria, economica e sociale: uno scenario senza precedenti che deve spingerci a cercare soluzioni concrete e mirate. Questo rapporto mostra dati preoccupanti – soprattutto per quanto riguarda i giovani e il fenomeno dei NEET, le famiglie mono genitoriali o l’occupazione femminile – e l’importanza della collaborazione tra i diversi attori. Come Fondazione ci siamo occupati più volte di queste tematiche, con bandi e iniziative volte a favorire l’occupazione e la formazione dei giovani, la lotta alle nuove povertà o l’inclusione sociale. Questa indagine ci permette di identificare ulteriori obiettivi sociali da sostenere in futuro, coinvolgendo una rete di attori – pubblici e privati – con cui collaborare” spiega Luigi Sorzi, Presidente della Fondazione Istituti Educativi di Bergamo.

 

IL RAPPORTO – NUOVE POVERTÀ

L’indagine parte dall’analisi dei tre tradizionali canali di inclusione sociale: i circuiti di socialità (in primo luogo la famiglia), quelli economici (il lavoro) e quelli politici (il welfare). La povertà emerge quando un individuo o una famiglia non sono in grado di rispettare i requisiti richiesti da questi circuiti per un pieno radicamento sociale. Una situazione che ha avuto un sensibile incremento a partire dalla crisi finanziaria del 2008 e in seguito all’emergere di una nuova domanda di protezione sociale che questi tre canali hanno sempre più difficolta a soddisfare.

“Nell’attuale società frammentata” precisa David Benassi professore del Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale dell’Università di Milano-Bicocca, “I principali canali di inclusione sociale hanno subito radicali cambiamenti a causa delle trasformazioni che hanno coinvolto: le strutture familiari, con la crescente instabilità e l’indebolimento dei legami familiari; il mercato del lavoro, con il conseguente aumento dell’instabilità occupazionale; il welfare-state, che ha subito un progressivo ridimensionamento della propria capacità di intervento e di adattamento alle nuove domande di protezione espresse dalla popolazione”.

 

Rispetto al passato, quindi, quando la povertà colpiva solo alcune categorie sociali precise, il rischio di povertà è diventato più frammentato e colpisce in modo trasversale tutte le categorie, incluso il ceto medio che in passato poteva considerarsi immune dal rischio di intraprendere una traiettoria di impoverimento. Il panorama della povertà è oggi molto diversificato e accanto ai soggetti fragili tradizionali – gli anziani, le persone senza dimora, gli immigrati, le persone con dipendenze da sostanze, le minoranze discriminate, malati e disabili – sono subentrati nuovi profili: genitori single, divorziati, giovani in uscita dalla famiglia d’origine o famiglie che hanno perso l’unica fonte di reddito. L’emergenza legata alla pandemia da Covid-19, con ogni probabilità aggraverà queste tendenze, peggiorando soprattutto la situazione del ceto medio.

 

Afferma Matteo Colleoni, professore del Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale dell’Università di Milano-Bicocca: “A livello generale e nel confronto con gli altri Paesi europei, l’Italia risulta caratterizzata da un’elevata diffusione della povertà, comunque la si voglia definire: povertà relativa, grave deprivazione materiale o bassa intensità occupazionale. Una condizione che nel nostro Paese assume la specificità della crescente frattura tra centro/nord e sud, dell’elevato rischio tra le famiglie con minori, del cosiddetto working poor e del forte rischio tra gli stranieri. L’analisi dei dati e degli indicatori di vulnerabilità sociale e materiale ha messo in evidenza che, come atteso, la provincia di Bergamo gode di una condizione mediamente migliore rispetto ad altri contesti del territorio nazionale e regionale, sebbene contraddistinta dalla presenza di un’elevata eterogeneità territoriale e di forme specifiche e localizzate di vulnerabilità”.

 

Nel Rapporto si evidenzia innanzitutto il ruolo chiave della famiglia nella protezione sociale dei suoi componenti: negli ultimi anni, infatti, a causa di una serie di mutamenti demografici e socioeconomici, il suo ruolo protettivo si è indebolito, esponendo i suoi membri a un rischio maggiore di vulnerabilità.

Le famiglie con minori sono uno dei profili maggiormente esposti al rischio di povertà a causa di un sistema caratterizzato da politiche nazionali deboli (rispetto alla media europea): nei comuni della provincia di Bergamo le famiglie con componenti tra 0-14 anni rappresentano il 22,5%, rispetto al dato regionale (21,5%) e nazionale (19,7%). Se una famiglia si trova già in una condizione di elevata vulnerabilità sociale e materiale, la presenza di uno o più minori tra 0-14 anni può impattare negativamente sulla sua capacità di garantire il sostegno dei singoli componenti.

 

Un ulteriore fattore causa della vulnerabilità sociale e materiale è l’instabilità lavorativa. Nel rapporto si evidenzia come, in media, l’incidenza percentuale degli occupati non stabili sia inferiore nei comuni della provincia di Bergamo (11,2%), che nei comuni lombardi (11,8%) e italiani (16,4%). Tuttavia, resta diffuso il fenomeno dei giovani tra i 15 e i 29 anni che non studiano e non lavorano, i cosiddetti NEET Not in Education, Employment or Training. La provincia di Bergamo, infatti, presenta una percentuale superiore di giovani NEET (21,8%) rispetto alla Lombardia (18,6%), uno scarto di 3 punti percentuali che, in valore assoluto, connota negativamente la nostra provincia (sebbene il fenomeno sia inferiore al dato medio nazionale molto elevato e pari al 25,7%).

 

Il territorio della provincia di Bergamo si caratterizza anche per la compresenza di aree caratterizzate da diversi livelli di centralità/perifericità per l’alternarsi di zone di montagna, che hanno un peso relativo molto forte, e di pianura nelle quali l’accessibilità alle opportunità territoriali è differente. Come evidenziato dalla classificazione delle Aree Interne dell’Agenzia per la Coesione Sociale (SNAI – Strategia Nazionale Aree Interne), a livello regionale, Bergamo registra una quota significativamente elevata di comuni in posizione di perifericità rispetto all’accessibilità a servizi fondamentali per la qualità della vita della popolazione (circa il 15% rispetto al 10% regionale). Tra questi l’accesso alla banda ultralarga: secondo i dati raccolti, la media degli edifici raggiunti dalla connessione in provincia (1,95%) è significativamente inferiore a quella regionale (4%) e nazionale (13,31%). La presenza di vaste aree del territorio ancora escluse dal servizio si traduce nella minore capacità di inclusione nel mondo delle opportunità offerte dal digitale, non per ultime quelle legate alla didattica e alla formazione che, durante la pandemia, hanno permesso di dare continuità ai servizi e di contenere l’isolamento e la solitudine imposti dal lockdown.

 

Conclude Colleoni Oggi la grande differenza è fra ‘inclusi’ ed ‘esclusi’, i secondi sono coloro che, non inseriti nei circuiti di reciprocità, del mondo del lavoro e delle istituzioni del welfare, rimangono invisibili. Una condizione di invisibilità che è stata spesso citata nelle interviste fatte agli operatori del territorio. Il nostro sistema di welfare si appoggia sul presupposto del buon funzionamento delle reti familiari e dei circuiti lavorativi: laddove si verifica un peggioramento delle prime si hanno conseguenze negative sui secondi, e viceversa. Questo è un fenomeno che si sta diffondendo sempre di più e che richiede analisi attente e interventi mirati ed efficaci”.

 

LE SOLUZIONI

Le interviste rivolte agli operatori dei servizi hanno messo in evidenza temi quali la frammentazione degli interventi e – al contempo – la presenza di una tradizione di buona collaborazione tra gli attori che compongono la fitta rete di istituzioni pubbliche e private del territorio. Sono numerosi gli interventi di contrasto alla povertà e di contenimento della vulnerabilità sociale e materiale, di così come la quantità di risorse disponibili, ma la frammentazione dei canali di sostegno spesso ne vanifica l’efficacia. La difficoltà di fare sistema nelle politiche sociali tra Stato, Regioni, Ambiti e Comuni è un tema chiave.

Risulta dunque indispensabile il contributo del Terzo Settore e delle molteplicità di realtà affinché agiscano sul territorio e riescano “a fare sistema”. “Emerge dunque – conclude il Presidente Luigi Sorzi – la necessità di un disegno generale di programmazione tra pubblico e privato sociale che abbia un respiro più ampio e un orizzonte temporale maggiore. Di primaria importanza la valorizzazione della prossimità dei servizi, che permetta un’azione mirata sul territorio; un welfare di comunità in cui le reti sociali prevengano il disagio e le situazioni di vulnerabilità e fragilità”.

 

Per informazioni: www.istitutieducativi.it