NUOVE FRONTIERE MENSILE N.3 – SETTEMBRE 2007

Nuove Frontiere onlus

“Se riesci ad immaginare un mondo diverso, il mondo sta già cambiando”


n.3 – settembre 2007






Carissimi/e


Nuove Frontiere riparte da dove ha lasciato:


da mesi porta avanti una petizione volta a combattere l’evasione scolastica, soprattutto da parte di minori extra-comunitari (almeno per quanto concerne la realtà di Roma e provincia), sia la chiave di volta per avere non solo un futuro, ma già un presente migliore in grado di riaprire gli animi alla speranza di un domani diverso.



Per questo la petizione chiede al Parlamento italiano che proceda al più presto ad una riforma dell’ art 731 c.p. e predisponga un adeguato assetto legislativo con strumenti che possano realmente incidere, sulla base dei seguenti indirizzi:


1) la tutela della libertà individuale del minore e dei suoi relativi diritti;
2) l’irrogazione sia di pene pecuniarie che detentive;
3) l’abrogazione dall’art 731 c.p. dell’inciso “giusti motivi”;
4) l’introduzione nell’art su citato della pena accessoria ex art 34 c.p. ovvero la sospensione della patria genitoriale ( in quanto il genitore che non vigila o non manda il minore a scuola, viola i doveri previsti dalla Costituzione agli articoli 2 e 30, doveri ribaditi anche dall’art 147 c.c., e crea un grave pregiudizio al minore);
5) predisposizione delle misure di assistenza alle famiglie per adempiere a questo primario dovere non solo familiare, ma sociale.



Centinaia le firme e fra i firmatari: la Vice Presidente della Camera, on.le Giogia Meloni e l’on.le Gianni Alemanno. La petizione è sottoscrivibile all’indirizzo www.nuovefrontiere.net .


Detto questo, Nuove Frontiere parteciperà con una propria delegazione alla Marcia della Pace Perugia-Assisi che si svolgerà domenica 7 ottobre e invita a parteciparvi tutti coloro che vogliono seriamente lavorare ad una cultura di pace e sviluppo.
Ci sono tanti modi per partecipare alla Marcia. Fare a piedi tutto il percorso da Perugia ad Assisi non è l’unica possibilità. Si può fare a piedi solo il percorso da Santa Maria degli Angeli alla Rocca di Assisi, o aspettare l’arrivo della Marcia sul prato della Rocca di Assisi dove si svolgerà la manifestazione conclusiva come farà l’onlus romana.


Nuove Frontiere sarà presente anche per consentire a quanti ritengano che ai minori vadano garantiti il diritto all’istruzione e la salvaguardia da tutte le forme di discriminazione, sfruttamento e microcriminalità di sottoscrivere la petizione polare che ha lanciato nel febbraio scorso e che sta ottenendo sempre più adesioni.


Gabriele Felice

In questo numero


  • Un ostello per gli immigrati (2a parte).

Renata Giovenco



  • La lunga storia del fund raising.

Donika Lafratta



  • Cittadinanza e democrazia

Francis Chinedu Manujibeya



  • Carthago

Alberto Mosca



  • Lettere da Iwo Jima

Luciano Alberghini


Un ostello per gli immigrati (2a parte)


Due aspetti risultano comuni a molte metropoli moderne: una crescita irregolare, informe non controllata ed un nucleo produttivo che si sviluppa intorno al solo centro storico, mentre le aree più periferiche ne risultano le “appendici”, destinate al degrado.


Disegnare una NUOVA FORMA DI CITTA’ vuol dire migliorare la qualità urbana ed equiparare in termini di COSTI E BENEFICI la domanda abitativa, dei servizi e delle infrastrutture.


Dagli anni ’90 in poi, Roma si presenta come un container multietnico. Questo nuovo aspetto sociologico urbano e le grandi opere della NUOVA ARCHITETTURA impongono un nuovo lifting e l’esigenza di rinnovare l’ASSETTO URBANISTICO “avvicinando” le periferie ed escludendo una strategia di tipo espansivo.


Di contro al vecchio PRG del ’62 ormai obsoleto, il NPRG di Roma propone una nuova struttura di CITTA’ POLICENTRICA, formata cioè da nuovi CENTRI URBANI (ad esempio Tor Vergata) identificabili singolarmente, ma COMUNICANTI con i quartieri cittadini attraverso un nuovo organismo “A RETE” di trasporto alternativo a quello privato. Per facilitare l’accessibilità interna ed esterna alla città è stato attuato un nuovo piano per la mobilità potenziando anche l’attuale “trasporto su ferro”.


Lo spazio vivibile in cui prende forma il 2PROGETTO D’INTEGRAZIONE PER GLI IMMIGRATI EXTRACOMUNITARI è quello di una città in trasformazione, secondo un programma in parte ancora da attuare.


Incoraggiando comunque la creazione di centri polifunzionali ed interculturali per i giovani sul modello sperimentato nell’8° Municipio, la tendenza in atto però rientra nella categoria delle “singole iniziative isolate”. Le università romane devono ormai accogliere un numero sempre crescente di studenti fuori sede, docenti e ricercatori, ma il PIANO D’ASSETTO GENERALE ha previsto anche tre nuovi campus, cioè pensionati ed ostelli per permanenze a lungo termine.


Lungo questa direttiva l’OSTELLO PER IMMIGRATI trova un suo inserimento non casuale, è un MODULO ELEMETARE RIPETIBILE seguendo uno schema distributivo “A RETE” con raggi d’influenza minimi, a copertura dell’intero tessuto urbano. Sconfinando oltre l’anello periferico, raggiungere le aree dei quartieri più centrali affiancandosi ai centri di assistenza e di cultura straniera e non.


Da anni ormai il numero delle famiglie extracomunitarie ha sperato di molto quelle romane e per il mercato immobiliare, secondo il RAPPORTO CRESME/SAIE 2007, si prevede per il 2008 un incremento della domanda abitativa straniera fino al 45%, mentre la domanda locale rimane stabile.


Poiché 2/3 del territorio romano appartiene ai PARCHI ed AREE PROTETTE (ossia 41.000 ettari degli 88.000 complessivi), il NPRG prevede circa 60 milioni di MC edificabili, ma solo la metà è destinata alle nuove residenze. Inoltre il 16% appartiene già alle volumetrie abitabilli in fase di realizzazione, per le 18 NUOVE CENTRALITA’ URBANE previste, mentre il rimanente 84% verrà distribuito sull’intero territorio.


I PIANI DI RIQUALIFICAZIONE (c.d. “Articoli 2”) e di RECUPERO (i c.d. “Articoli 11”, le ex zone “O” e i c.d. “Toponimi”) prevedono la risoluzione per una superficie complessiva di c.a. 15.000 ettari di nuclei di edilizi periferici, ex borgate abusive ed altri agglomerati spontanei, altrimenti destinati al degrado.


“Potenziare”, “avvicinare” e “mettere in rete” aree lontane tra loro sono azioni comunque coinvolte dall’effetto “calamita” che le arre più esterne esercitano sull’utenza a basso reddito, per il costo contenuto delle abitazioni e dei servizi di prima necessità.


L’aumento della popolazione è un’altra variabile in atto che richiede maggiore impegno e tempismo per l’aggiornamento della normativa in materia LL PP, semplificazione per le richieste edilizie dei privati, aggiudicazione ed attuazione dei progetti, al fine di garantire a tutti l’accessibilità al “BENE CASA”.


Le istituzioni statali e la P.A. proseguono comunque il programme di riforma iniziato negli anni ’90 anche nel settore degli appalti, ad esempio riducendo il tempo di attuazione medio di ogni “programma di recupero” a 4-6 anni, mentre entro il 30 settembre di ogni anno viene redatto uno schema di PROGRAMMA TRIENNALE, aggiornato annualmente (DMLLPP 21/06/2000). La legge 109/94 all’art.14 stabilisce, inoltre, che un “lavoro può essere inserito nell’elenco annuale limitatamente ad uno o più lotti, solo se viene approvata la PROGETTAZIONE PRELIMINARE con allegato QUADRO ECONOMICO e soltanto se il progetto stesso, con importo = oppure > a 1.000.000 euro, è conforme agli strumenti urbanistici vigenti o adottati.


Renata Giovenco





La lunga storia del fund raising.


Fundraising è una parola inglese che deriva dal verbo “to raise”. Tendenzialmente identifichiamo il suo corrispettivo italiano nel termine raccolta fondi ma di fatto questa traduzione letterale appare piuttosto riduttiva. Il verbo “To raise” infatti ha il senso di: far crescere, coltivare, ossia di sviluppare i fondi necessari a sostenere una azione senza finalità di lucro. Il fundraising trova così le sue origini nell’azione delle organizzazioni non profit, quelle organizzazioni che hanno l’obbligo di non destinare i propri utili ai soci, ma di reinvestirli per lo sviluppo delle proprie finalità sociali.


Secondo alcuni il fundraising è nato storicamente in Europa. La Chiesa ed i suoi sacerdoti possono essere considerati i primi fundraiser, cioè coloro che per una precisa causa sociale hanno cominciato a raccogliere fondi. Tuttavia in Grecia già nel IV secolo A.C., si organizzavano delle raccolte di fondi sotto forma di sottoscrizioni ed operavano delle persone atte alla raccolta delle indulgenze. Lo sviluppo maggiore di questa attività, si è avuto però nel mondo anglosassone ed in particolar modo negli Stati Uniti grazie a Henry Rosso. Rosso fondatore della prima scuola di fundraising al mondo, scosse gli animi delle persone sostenendo che il fundraising è l’arte di insegnare alle persone la gioia di donare.


Secondo i più recenti approcci il “fundraising” fonda il suo significato nel fenomeno della responsabilità sociale diffusa che spinge i soggetti ad effettuare investimenti di risorse per il raggiungimento di comuni benefici sociali. Per “fundraising” quindi, si può intendere l’insieme delle teorie e delle tecniche necessarie a garantire la sostenibilità di una causa sociale e dell’organizzazione che la persegue e di promuoverne lo sviluppo costante nel tempo. (Wikipedia).


Per fare fund rasing ci vuole una organizzazione molto motivata e un progetto sociale chiaro ed efficace. Alla sua base, c’è quindi una missione chiara e vincente e il programma necessario per realizzarla in pieno.


In Italia il fund raising ha radici piuttosto antiche. Si potrebbe quasi sostenere che esso nasce all’epoca dell’impero romano quando lo Stato tanto si prodigava per l’arte, la cultura, la scienza e l’assistenza (Melandri, Zamagni, 2000) ma di fatto affonda le sue radici nella grandi istituzioni caritative sorte in epoca medievale (Cova, 1997).


Nel medioevo e in epoca moderna diffusa era la consapevolezza che le attività di assistenza e beneficenza, sanità e istruzione, fossero un patrimonio per tutti e che, in quanto tali, avessero un valore pubblico. Risalgono a questo periodo le opere destinate all’assistenza ai pellegrini, alla cura degli infermi, le iniziative a favore dei carcerati, degli orfani e delle vedove e gli ospedali. Molte di queste realtà sono cresciute nel corso dei secoli e sono tuttora attive ma purtroppo in Italia lo Stato si è sempre più preoccupato di espandere la propria sfera d’azione che di riconoscere e favorire l’iniziativa dei corpi sociali, attuando una politica di forte ingerenza. Alla fine del Settecento e ancor più in epoca napoleonica questa pressione degli apparati statali comincia a far sentire i suoi effetti. La situazione diventa ancor più pesante nel corso del XIX secolo quando le istituzioni statali tendono a estendere la loro influenza in tutti gli ambiti della vita civile. ed in modo particolare nella seconda metà


Nella seconda metà del XIX secolo, gli interventi legislativi dello Stato, che si susseguono negli anni prima e dopo l’unità di Italia, mirano proprio ad eliminare una parte considerevole delle organizzazioni operanti nel sociale e, in primo luogo, quelle promosse e sostenute dalla Chiesa (Restelli, 1978).


Si è così giunti, alla crisi della tradizione solidaristica intorno ai primi anni Settanta e ad una progressiva ripresa del mondo “non profit”.


Negli ultimi anni si è assistito allo sviluppo di un fund raising scientifico quale vera e propria disciplina professionale ma di fatto questa attività non si è ancora sviluppata così ampiamente. Solamente recentemente grazie al Decreto 460/97 “Legge istitutiva degli enti non commerciali e delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale è stata prevista una limitata detraibilità fiscale, che ha consentito lo sviluppo delle potenzialità di questo settore, dando ai cittadini un maggiore incentivo a donare. Attualmente molte Fondazioni, Associazioni, Cooperative sociali, Onlus stanno iniziando a ritenere la raccolta fondi una buona occasione di finanziamento per lo sviluppo di attività sociali e solidaristiche. (Inf. Tratte da www.bilanciosociale.it)


Donika Lafratta


Cittadinanza e democrazia ( II PARTE )



Riprendiamo la seconda parte del problema della Cittadinanza in Italia e vediamo cosa prevedono altri paesi europei e la gurispudenza per quanto riguarda la cittadinanza.


Nel momento in cui la codificazione internazionale dei diritti e delle libertà fondamentali impone la loro garanzia e la protezione nei confronti di tutti gli esseri umani in quanto tali, poiché ineriscono alla qualità di persona umana ( questo è il Preambolo e l’art. 1 della dichiarazione universale dei diritti dell’uomo), si po’ chiedere quali siano le peculiarità dello status del cittadino, rispetto a quello di persona e quale è la funzione di questo status del cittadino. .


La cittadinanza sarebbe un concetto non necessario in un contesto nel quale la tutela dei diritti non dipende unicamente dal singolo Stato, e allora viene meno la validità del tradizionale affermazione in cui si dice che “non c’è diritto dell’uomo al di sopra della sua naturalità, senza essere in positivo, cioè senza essere trasformato in pretesa giuridica dal diritto dello Stato”


Oggi che ruolo ha la cittadinanza, in quali dimensioni territoriali e politici dispone i propri effetti? Dalla prima articolo abbiamo capito che la parola “cittadinanza” assume una pluralità di significati, che origina dall’essere, la cittadinanza, categoria fondamentale sia dell’analisi socio-politica, sia di quella giuridica (ricordiamo combinazione “appartenenza e diritti”, secondo il pensiero di del Sociologo Marshall).


Nella lingua italiana la parola “cittadinanza” indica ;




  • la condizione di chi appartiene ad uno Stato, soggetto alle leggi dello stato di cui gode dei specifici diritti ed obblighi, tra gli altri i diritti politici e l’obbligo di effettuare determinate prestazioni;



  • indica anche un complesso di diritti che in una persona complimentano il vero cittadino con particolare riferimento alla graduale acquisizione di nuove categorie di diritti, secondo il pensiero di Marshall, e qua si vede cittadinanza legata alla appartenenza.


Da queste due significate della parola “ cittadinanza”, si po’ vedere come la punta sul binomio “ cittadinanza – appartenenza”, in molti paesi europei come Ingliterra, Francia ecc; Per l’inglese si usa “ citezenship e nationality” e per il francese si usa citoyenneté e nationalité.


In altre lingue, per esprimere le due significate di qui sopra indicate, si usano parole differenti. Così in Italia alcuni autori di lingua italiana suggeriscono di distinguere tra “cittadinanza formale” e cittadinanza sostanziale”, cosa che continuerà a complicare la già complicata applicazione della cittadinanza allo straniero.


La Corte Internazionale di Giustizia, nel caso Nottebohm (1955), ha affermato che: “la Nazionalità è legato ad affari sociali come base, un allegato sociale, cioè una cognizione genuina di esistenza, interesse e sentimenti insieme con i diritti e doveri reciproci. Si po’ dire che questa forma una espressione giuridica per il motivo che la persona a cui riferisce può essere direttamente dalla gurispudenza avere la nazionalità, che con qualsiasi altri Stato. A questo punto vediamo cosa prevede l’art.1 della Convenzione Europea sulla cittadinanza. Questa art. 1, dice che; “La nazionalità è il legame giuridico tra un individuo ed uno Stato, e non sta ad indicare l’origine etnica del dell’individuo”.


Dunque, si tratta di una relazione tra un individuo ( cittadino della Nazione) ed uno Stato in base alla quale il cittadino ha un legame forte e permanente con questo Stato e da questa relazione originano i caratteristici diritti di ingresso e permanenza nel territorio; la titolarità dei diritti politici, il diritto alla protezione diplomatica da parte dello Stato, e dei doveri in termini di prestazioni personali e patrimoniali.


Per concludere questo ragionamento diamo uno sguardo sulle disposizioni internazionali in matteria di tutela dei diritti umani, che riguardano la condizione dello straniero:




  • Carta delle Nazioni Unite (1945), art. 55 lett. c): le N.U. si impegnano a promuovere “il rispetto e l’osservanza universale dei diritti dell’uomo, senza distinzione di sesso, razza, lingua o religione”.



  • Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo (UDHR, 1948): l’art. 2 prevede il divieto di ogni discriminazione e distinzione nel godimento dei diritti proclamati nella dichiarazione, ed in effetti gli articoli che seguono sono formulati ponendo come soggetto di diritto ogni individuo. Ci sono anche delle previsioni riferite specificamente allo straniero. L’art 13 prevede la libertà di movimento all’interno dei confini di uno Stato, il diritto di uscire da ogni Stato, compreso il proprio, e di far ritorno nel proprio Stato.






Oggi in Italia, come si può ottenere la Cittadinanza e chi può chiedere la cittadinanza Italiana?


Secondo la legge vigente che è sempre quella modificata dal Governo Belusconi sotto nome di legge Bossi – Fini;


Ogni bambino nato da un genitore di nazionalità italiana è automaticamente italiano, come d’altronde un bambino nato in Italia da genitori sconosciuti o apolidi, o se il bambino non ottiene la cittadinanza dai suoi genitori sotto la legge del loro Paese.
Uno straniero sposato con un cittadino italiano può richiedere la cittadinanza italiana sei mesi dopo il matrimonio se vive in Italia, o tre anni se vive all’estero.


Un residente straniero che non è sposato con un Italiano può fare domanda per la cittadinanza dopo aver risieduto nel Paese almeno dieci anni o dopo quattro, se è un cittadino dell’Unione Europea, e cinque anni se si tratta di un apolide in Italia e degli stranieri che servono lo stato italiano.


Uno straniero con un genitore o un nonno che alla nascita risultava un cittadino italiano, è automaticamente qualificato per la cittadinanza dopo aver vissuto in Italia per due anni dopo il loro 18 compleanno o, se nato in Italia, prima del raggiungimento di questa età.


Un bambino nato ai genitori stranieri in Italia non acquisisce automaticamente la cittadinanza italiana, ma ha il diritto di richiederla prima di compiere 18 anni. Non è più necessario dover scegliere tra la nazionalità dei genitori e quella italiana, dato che l’Italia adesso riconosce la doppia cittadinanza.


Per ottenere la cittadinanza italiana, si deve fare la domanda al Ministro dell’Interno attraverso il comune in cui si ha la residenza o attraverso un consolato italiano all’estero. Deve essere pagata una tassa di concessione e la procedura termina col giuramento di lealtà da parte del candidato verso la costituzione e le leggi italiane.


Come la maggior parte delle cose che hanno a che fare con la burocrazia italiana, il processo di richiesta e di ottenimento della cittadinanza italiana è un affare lungo che potrebbe richiedere diversi anni. I documenti richiesti variano a seconda della situazione e a seconda della nazionalità (risulta più facile per coloro sposati con gli italiani) – possono essere richiesti fino a 12 documenti , molti di cui devono essere fatti su carta ufficiale ( in bollo), tradotti da un traduttore ufficiale, autenticati o legalizzati. Un elenco dei documenti necessari è disponibile presso la prefettura. Dopo aver fatto la domanda, le autorità hanno 18 mesi per prendere una decisione.


Si ricorda che l’Italia ammette la doppia cittadinanza, sebbene nessuno di coloro che la possiede può arrivare o lasciare il paese senza un passaporto o un documento d’’identità italiano valido. Il D.leg sulla cittadinanza approvato dal Consiglio dei Ministri del Governo Prodi poi mandato in parlamento, un D.Leg. che ha migliorato molto i requisiti indicati sopra, è ancora da discutere dal Parlamento Italiano e nessuno è certo quando sarà anche perché a agli immigrati sembra già dimenticato in Parlamento.


Francis Chinedu Manujibeya


CARTHAGO




(progetto di messa in scena teatrale)


Quasi una fiaba, una storia originale e di grande levità, sospesa in una dimensione senza tempo, intensa e rivelatrice insieme. Il signor Linh è un vecchio che ha perso tutto tranne una nipote che vive con lui. Esiliato da un paese in guerra in una città che gli è completamente estranea,si aggira disorientato e muto, fino a quando incontra un uomo gentile che non parla la sua lingua ma gli si rivolge con affettuosa disponibilità. Con la semplicità dello stupore, la descrizione di un’affinità elettiva che sembra poter compensare il dolore della perdita, svelare quello che è inutile e tuttavia essenziale. Un linguaggio molto semplice che rispecchia la semplicità dei protagonisti. Un senso di umanità, permeato da un alone di tragicità, che caratterizza la condizione umana. Il mistero dell’uomo ha una profonda dimensione sociale e psicologica. Nella pièce i due protagonisti si aprono l’un l’altro trovando sollievo e conforto, come in una strana seduta psicanalitica: un uomo parla molto, l’altro ascolta quasi muto. Anche la storia di una cura, se vogliamo: un uomo segnato dalla perdita (famiglia, paese, lingua, ecc.) rivela, attraverso l’incontro con l’altro, una forza interiore enorme di ricostruire un filo di senso e di speranza,anche attraverso un rapporto fatto di gesti più che di parole, una conversazione di sguardi, due solitudini che si incontrano su una panchina che sembra l’unico elemento stabile in un mondo in continuo, frenetico ed incomprensibile movimento. Il miracolo dell’amicizia pur tra mondi completamente diversi e lontani. Quindi un incontro ancora più profondo: l’amicizia significa accettare tutto dell’altro; accettare perfino la follia dell’altro.


Alberto Mosca

LETTERE DA IWO JIMA




Agli inizi del 1945, dopo 4 anni di guerra sanguinosa il Giappone è affatto vinto, il paese è dominato da un pugno di militari fanatici ed oltranzisti che tengono in ostaggio lo stesso imperatore, la flotta seppur decimata si è ritirata nella baia di Tokyo per l’ultima battaglia. Un ultimo ostacolo si frappone alla battaglia finale che presto gli americani scateneranno, si chiama Iwo Jima, un’isola che sarebbe meglio definire scoglio vulcanico di appena 10 km di lunghezza per 4 di larghezza. E’ fondamentale conquistare questo scoglio in mezzo al Pacifico, ultimo territorio giapponese d’oltreoceano, perché dispone di un aeroporto che servirà di base ai bombardieri americani prima dell’ultimo balzo dell’ l’invasione progettata. In quest’isola 12.000 soldati giapponesi, ormai abbandonati a se stessi, si preparano a resistere ad oltranza. Li comanda il generale Kuribayashi, un valoroso soldato degno erede dei samurai, egli sa che la guerra è perduta ma non si arrenderà mai. Prepara micidiali trappole per gli invasori, fa scavare gallerie e bunker dove i giapponesi si rintaneranno, c’è una sola alternativa morire per la patria. Tra gli umili soldati, vessati da inflessibili e fanatici ufficiali, tornati dalle malattie, dalla sete, dalla penuria di cibo regna la paura ed il terrore della prossima tempesta. Questa è la storia di un gruppetto di loro tra cui il panettiere Saigo prima e durante la battaglia. I loro sentimenti, le loro paure, le loro speranze sono affidate a decine di lettere che forse un giorno qualcuno ritroverà. L’umile soldatino Saigo immagina che forse arriveranno 30 o 50 navi ma quel fatidico 19 febbraio 1945 la realtà della flotta da sbarco dell’ammiraglio Nimitz composta di 174 navi e 86.000 uomini supera ogni loro immaginazione. La battaglia è spietata, di fronte alla soverchiante potenza avversaria i giapponesi resistono oltre ogni umana sopportazione e quando sono circondati si uccidono. In molti di loro l’istinto di sopravvivenza è più forte della disumana ubbidienza all’Imperatore ma la resa è impossibile. Il gen. Kuribayashi cerca la morte in combattimento. Da parte di tutti e due i contendenti avvengono episodi di pietà umana e di crudele efferatezza. “Lettere da Iwo Jima” è la continuazione , questa volta dal punto di vista giapponese del precedente “The Flags of our fathers”. Come in uno specchio, chi ha visto quest’ultimo, ritroverà i medesimi episodi rovesciati ossia vissuti dalla parte dei giapponesi. “Lettere da Iwo Jima” è un film asciutto, teso, intenso e politicamente corretto a tal punto da essere narrato in lingua giapponese con sottotitoli, forse talmente corretto da non poter essere premiato al festival di Hoolywwood, dominato dalla pruriginose giurie americane. Questo film racconta la guerra vista dalla parte dei vinti, così come il primo la raccontava dalla parte dei vincitori, entrambi si scoprono esseri umani sottoposti alle stesse leggi eterne della vita e della morte, alle stesse paure, agli stessi sentimenti, alle stesse malattie, il marine Michel non è diverso da Saigo o dal gen. Kuribayashi quando scrive le lettere alla madre, alla moglie, ai figli . Ed è proprio in queste lettere miracolosamente conservate che scopriamo la nostra fratellanza universale, la nostra aspirazione alla pace alla felicità. Vedendo questo film a differenza di altri lo spettatore non prova rabbia contro l’uno o contro l’altro perché non c’è demonizzazione, non c’è giudizio se non quello severo e implacabile contro l’unico nostro vero nemico, la guerra e la follia di coloro che la impongono.


Luciano Alberghini


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